Avvocato Domenico Esposito
 

 

NEL RICORSO PER CASSAZIONE IL DIFETTO DI MOTIVAZIONE CONCERNE SOLO I FATTI E LA LORO VALUTAZIONE MAI LE NORME GIURIDICHE

Il difetto di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti, non anche l’interpretazione e l’applicazione di norme giuridiche, giacché - ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, senza fornire alcuna motivazione o formulandone una difettosa od erronea - la Corte di cassazione, nell’esercizio del potere correttivo conferitole dall’art. 384 c.p.c, ben potrebbe sostituire, integrare o correggere la motivazione della sentenza impugnata. (dalla massima)

Cassazione civile, sez. I 22/05/2009 n. 11910
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Luccioli Maria Gabriella - Presidente -
Dott. Ceccherini Aldo - rel. Consigliere -
Dott. Forte Fabrizio - Consigliere -
Dott. Panzani Luciano - Consigliere -
Dott. Schirò Stefano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13353/2008 proposto da:
...................., elettivamente domiciliata in .........................., presso l'avvocato ............................, rappresentata e difesa dall'avvocato ....................., giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente -
contro
......................... ., ASL di ................... - Distretto ..................; Procuratore generale della repubblica presso la corte di appello di Bologna, Giudice tutelare presso il Tribunale di ................, Procuratore generale della Repubbilca presso la corte di cassazione; - intimati -
avverso la sentenza n. 537/2008 della Corte d'appello di Bologna, depositata il 28/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 17/03/2009 dal Consigliere Dott. Aldo Ceccherini; udito, per la ricorrente, l'Avvocato .................. che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Martone Antonio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 25 giugno 2007, il Tribunale per i minorenni dell'Emilia Romagna dispose l'apertura del procedimento per l'accertamento dello stato di abbandono delle minori ................... e .................., nate a ..................., rispettivamente il ..................... e il .................., dalla relazione di ................... e ....................

Il tribunale sospese la potestà dei genitori, e nominò quale tutore provvisorio il Comune di ........................ - indicazione poi corretta nel successivo decreto 15 ottobre 2007 con quella dell'AUSL di ................... Distretto ....................... - perchè mantenesse le minori presso la casa famiglia in cui si trovavano dal ................, regolasse i rapporti con i genitori in forma protetta, osservasse la condizione dei genitori e la loro relazione con le figlie.

Il provvedimento giungeva al termine di una vicenda familiare già caratterizzata da difficoltà economiche, essendo la madre priva di lavoro e il ................. ripetutamente detenuto in esecuzione di sentenze penali di condanna.

I rapporti personali tra i conviventi avevano registrato un progressivo deterioramento, e la donna aveva denunciato il .................... per percosse, manifestando il timore di essere nuovamente aggredita; nella circostanza, la minore ........................... era stata lasciata sola in casa dalla madre, fuggita per paura del convivente; nel sopralluogo eseguito per recuperare la minore la casa era stata trovata in disordine e in condizioni igieniche insufficienti.

Con decreto 13 novembre 2003 - che faceva seguito ad altro di analogo contenuto del precedente 18 settembre, - il tribunale aveva quindi affidatò le minori all'Azienda unità sanitaria locale per la collocazione di madre e figlie in luogo protetto, consentendo visite vigilate con il padre.

Successivamente la donna aveva intrapreso un nuovo rapporto di coppia, e aveva cominciato a trascurare le figlie, allontanandosi con sempre maggiore frequenza, anche totalmente per alcune giornate, incurante delle esigenze affettive delle minori e, in particolare, della figlia V., che aveva manifestato per l'assenza della figura materna gravi disagi.

A giustificazione dell'apertura del procedimento di adottabilità il tribunale osservò che la madre, rimasta inizialmente con le figlie in comunità dal ................. al ..................., aveva ripreso la sua vita irregolare, mostrando insofferenza per le regole della struttura e disinvestendo le energie prima impiegate per il recupero del suo ruolo genitoriale, tanto da circoscrivere il suo interesse per le bambine ai momenti di visita; e che il padre - pregiudicato - era diventato molto ostile ai Servizi sociali, non accettando la collocazione abitativa delle figlie e pretendendo un ricongiungimento familiare, irrealizzabile anche per il suo stato di detenzione.

Con successivo decreto 22 ottobre 2007, il tribunale depositò gli atti in cancelleria, e ordinò di darne notizia ai genitori, già costituiti per mezzo del loro comune difensore, avv. ................, e al difensore delle minori che sarebbe stato nominato dal tutore.

Con sentenza in data 10 gennaio 2008 il tribunale, considerato che dall'apertura del procedimento di adattabilità delle minori non si erano verificate sostanziali modifiche della precedente condizione, e le minori erano in uno stato di evidente e prolungato abbandono, ne dichiarò lo stato di adottabilità.

Avverso la sentenza la signora ...................... propose appello.

Il 14 febbraio 2008 il suo difensore, avv. .........................., depositò un atto di rinuncia alla difesa del signor .......................

Nel giudizio di gravame si costituì, il 6 marzo 2008, per il tutore, AUSL .................. Distretto di ......................, l'avvocato ..................., in forza di procura rilasciata il 29 novembre 2007 dalla dottoressa ......................, direttore del Distretto di ...................

Al predetto avv. ................., ma nella supposta sua qualità di curatore delle minori, l'appellante notificò il 7 marzo 2008 un'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata.

La Corte d'appello di Bologna, con sentenza 28 marzo 2008, respinse il gravame.

La corte, nel prendere in esame i motivi dell'appello, osservò pregiudizialmente che correttamente il giudice di primo grado aveva dichiarato lo stato di adottabilità delle minori, in osservanza del principio tempus regit actum, con sentenza, a norma della L. n. 184 del 1983, art. 15, come sostituito dalla L. n. 149 del 2001, art. 14, invece che con decreto, essendo entrata in vigore, il giorno 1 luglio 2007, la Novella 149/2001 che aveva modificato in tal senso il procedimento.

La corte ritenne anche legittima la costituzione in giudizio del tutore, affermando che la formula "per autentica" o "vera" prima della sottoscrizione del difensore, dopo la sottoscrizione della persona che ha rilasciato la procura, non è necessaria per la certificazione dell'autografia, e che i poteri di rappresentanza processuale dell'ente in capo a persona diversa dal suo rappresentante legale non devono essere dimostrati, se la verifica di quei poteri è consentita anche ai terzi dalla consultazione di atti soggetti a pubblicità legale.

Infine, la corte osservò che l'appello era stato notificato a norma dell'art. 140 c.p.c. al signor ...................., il quale era comparso all'udienza del 13 marzo 2008, il che dimostrava che egli aveva avuto conoscenza effettiva dell'atto notificato.

Nel merito, le doglianze vertevano sul comportamento dei servizi sociali, che non avevano tenuto conto delle condizioni personali dell'appellante, costretta giovanissima a prostituirsi da un'organizzazione criminale che l'aveva ridotta in schiavitù; essi non avevano svolto la necessaria attività di sostegno e supporto del nucleo familiare, ed avevano presentato delle relazioni basate su supposizioni e non su fatti accertati.

La corte premise che le minori avevano età inferiore ai dodici anni, che correttamente il tribunale aveva omesso la loro audizione, inopportuna in relazione all'età e tale da esporle a nuovi traumi, e che all'esigenza in questione il giudice aveva supplito attraverso le relazioni dei servizi sociali, che avevano dato voce alle istanze delle minori nella vicenda processuale.

La corte ricostruì quindi la complessa vicenda personale dell'appellante, quella delle minori, e l'attività svolta al riguardo dai servizi sociali, e giudicando infondate le doglianze di merito respinse il gravame.

Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre la signora ........................, con atto notificato il 19 maggio 2008 al curatore speciale e al tutore delle due minori, nonchè al Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna, affidato a dieci mezzi d'impugnazione.

Gli intimati non hanno svolto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due mezzi d'impugnazione, la ricorrente denuncia "aberratio juris" (primo motivo) e violazione di norme processuali applicabili al giudizio (secondo motivo).

La ricorrente riprende la tesi dell'inapplicabilità ratione temporis della novella al procedimento di adottabilità, per il principio tempus regit actum che non consentiva di applicare al decreto di apertura, depositato il 29 giugno 2007, la nuova disciplina entrata in vigore solo il giorno 1 luglio 2007; e sostiene poi che nel giudizio di primo grado non è stato garantito il contraddittorio nè la tutela dei diritti delle minori.

La ricorrente formula al riguardo di questi due mezzi, trattati congiuntamente, tre quesiti concernenti: a) l'applicazione del rito introdotto dalla L. n. 149 del 2001, invece che quello del testo originario della L. n. 184 del 1983, vigente al momento dell'apertura del procedimento; b) la mancata comunicazione ai parenti entro il quarto grado delle minori dell'apertura del procedimento, e c) la mancata comunicazione della sospensione della potestà genitoriale con affidamento a terzi, come prescritto dalla normativa in vigore al tempo dell'apertura del procedimento, conseguentemente omettendo di valutare la loro capacità e idoneità ad educare le minori.

I due mezzi sono inammissibili.

A norma dell'art. 366 bis c.p.c., "l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto", e questa prescrizione esclude che possano essere formulati più quesiti in relazione ad un unico motivo d'impugnazione, e a maggior ragione a più motivi trattati congiuntamente.

La ragione della norma è agevolmente comprensibile, se si considera che diversamente - come nel caso oggi all'esame del collegio - le ragioni poste a fondamento di ciascuno dei quesiti dovrebbero essere estrapolate dal giudice dal complesso degli argomenti esposti a sostegno dell'impugnazione, e imputate all'uno o all'altro dei quesiti formulati: compito, questo, riservato in via esclusiva alla parte, e per essa al suo difensore, al quale esclusivamente compete di individuare la censura sintetizzata nel quesito di diritto, sulla quale chiede che la corte si pronunci. In proposito questa corte ha già avuto modo di pronunciarsi, affermando il principio che è inammissibile il quesito formulato in termini tali da richiedere una previa attività interpretativa della Corte, come accade nell'ipotesi in cui sia proposto un quesito multiplo, la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione, per poi procedere alle singole risposte che potrebbero essere tra loro diversificate (Cass. 29 febbraio 2008 n. 5471, e 29 gennaio 2008 n. 1906).

La conclusione non può essere diversa per il mero fatto che il mezzo d'impugnazione si concluda, invece che con un unico quesito multiplo, con una pluralità di quesiti, che costringerebbe il giudice alla medesima, impropria opera d'interpretazione, che non gli compete, di distinzione, supposizione e riferimento degli argomenti cumulativamente esposti nel mezzo d'impugnazione.

2. Con il terzo mezzo d'impugnazione si lamenta l'omessa nomina di un difensore d'ufficio al padre delle minori, dopo che questi era rimasto privo per rinuncia al mandato del difensore precedente, e che aveva chiesto la nomina di difensore d'ufficio a norma della L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 4 e art. 10, comma 2.

Si formula un quesito vertente sull'omessa nomina di difensore d'ufficio al padre delle minori, come era stato richiesto dopo la rinuncia del difensore di fiducia.

Il mezzo è inammissibile. La ricorrente ................... solleva una questione di lesione del diritto di difesa del signor ...................., il quale sarebbe l'unico legittimato a dolersene.

3. Con il quarto mezzo d'impugnazione si censura la statuizione concernente la regolarità della costituzione dell'avv. ..................., curatore delle minori e legale costituitosi - in forza di procura da lui sottoscritta ma non autenticata - per conto dell'AUSL, e quindi per il tutore con il quale le minori erano in conflitto d'interessi, ente rappresentato dal dirigente Dott.ssa ................., la quale tuttavia nè è direttore generale dell'AUSL, nè aveva esibito una delega specifica all'atto da parte del direttore generale AUSL.

Si formulano al riguardo quattro quesiti vertenti su violazione di legge, omessa decisione e omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione ai seguenti punti: a) contestuale assunzione del ruolo di curatore e di procuratore speciale della Dott.ssa ................... da parte dell'avv. ........................; b) sussistenza in quest'ultimo di conflitto d'interessi immanente alla sua duplice qualità di curatore speciale delle minori e di procuratore della Dott.ssa .................; c) illegittimità della procura sottoscritta dal curatore senza affermazione della sua qualità e dello scopo della sottoscrizione; d) illegittimità della procura rilasciata da soggetto diverso dal direttore generale AUSL.

Ferme restando le considerazioni già fatte a proposito dei due primi mezzi, va rilevato che, dei quesiti formulati, i primi tre si fondano sulla premessa che il giudice di merito avrebbe nominato un curatore del minore, assunto contraddetto dall'impugnata sentenza e non illustrato dalla ricorrente con l'indicazione dell'atto formale di nomina del curatore, sicchè sono per questa specifica ragione inammissibili; e il quarto ignora la motivazione esposta dal giudice di merito a giustificazione del rigetto della relativa eccezione, sicchè deve essere qualificato generico (la supposta nullità della procura alla lite rilasciata dal tutore non comporterebbe peraltro la nullità del giudizio di appello, ma solo l'invalidità degli atti compiuti da quella parte nel giudizio; atti dei quali peraltro neppure si assume che avrebbero condizionato la decisione impugnata, come sarebbe richiesto per la configurabilità del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

4. Con il mezzo d'impugnazione rubricato sotto il numero 5) si denunciano la violazione di legge ed i vizi di motivazione in ordine alle istanze istruttorie della parte.

Si formulano due quesiti vertenti su violazione di legge, omessa decisione e omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione ai seguenti punti: a) mancato accoglimento di istanze istruttorie (non precisate nel ricorso) miranti ad accertare fatti decisivi; b) motivazione generica sul punto da parte della corte di merito.

Con il successivo mezzo d'impugnazione (n. 6) si deduce la violazione di norme di diritto, e specificamente della L. n. 184 del 1983, art. 8, come modificata dalla L. n. 149 del 2001, circa il diritto del minore ad essere legalmente assistito sin dall'inizio del procedimento.

Premesso che il curatore sarebbe stato nominato solo successivamente alla pronuncia, si formulano tre quesiti vertenti su violazione di legge, omessa decisione e omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione sui punti seguenti: a) effettiva applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 8, novellato, circa il diritto delle minori all'assistenza legale sin dall'inizio del procedimento di adottabilità; b) sussistenza dello stato di abbandono delle minori; c) mancata ammissione di consulenza tecnica d'ufficio psicologica e pedagogica sulle minori, richiesta nel doppio grado di merito.

Si denuncia ancora (motivo n. 7) un errore logico nella valutazione degli elementi acquisiti nel processo e nell'interpretazione della normativa in tema di minori in stato di abbandono.

Si formulano generiche valutazioni negative sulla condotta del processo e sulla decisione, e si pongono due quesiti, vertenti su violazione di legge, omessa decisione e vizio di motivazione in relazione a: a) ritenuta sussistenza dello stato di abbandono; b) valutazione di elementi del processo e procedimento di ermeneutica della normativa per le questioni prospettate sub nn. 6-7 del ricorso.

I tre mezzi sono inammissibili.

I quesiti con i quali essi si concludono - quesiti multipli, ed inammissibili per le ragioni già ricordate in relazione ai primi due mezzi - cumulano anche profili di illegittimità intrinsecamente incompatibili, perchè attinenti al tempo stesso alla violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e alla motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Secondo il costante insegnamento di questa corte, infatti, il difetto di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti, non anche l'interpretazione e l'applicazione di norme giuridiche, giacchè - ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, senza fornire alcuna motivazione o formulandone una difettosa od erronea - la Corte di Cassazione, nell'esercizio del potere correttivo conferitole dall'art. 384 c.p.c, ben potrebbe sostituire, integrare o correggere la motivazione della sentenza impugnata (Cass. 14 settembre 1976 n. 3152; 28 luglio 1997 n. 7050; 22 dicembre 2003 n. 19618).

Discende da ciò l'impossibilità, prima ancora che giuridica (per non essere previsto un quesito di diritto al termine dell'esposizione di un motivo di cassazione per vizio di motivazione), logica della formulazione di un unico quesito volto ad individuare i due vizi in questione, ed al quale questo giudice di legittimità dovrebbe rispondere in modo semplicemente affermativo o negativo: la configurabilità stessa del quesito di diritto (premessa logica di una risposta affermativa ad esso) postulerebbe la corretta ricostruzione del fatto al quale la norma è stata, correttamente o scorrettamente i applicata, e dunque l'esclusione del vizio di motivazione, mentre la presenza di quest'ultimo vizio escluderebbe a priori, per le stesse ragioni, la rilevanza di ogni problema di violazione o falsa applicazione di norme di diritto al caso così ricostruito.

Sulla base di tali premesse, dunque, si comprende agevolmente il principio, affermato anche recentemente da questa corte, che è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall'art. 366 bis cod. proc. civ., giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere un'autonoma collocazione (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470).

5. Con il successivo mezzo d'impugnazione (n. 8) si lamenta l'omessa audizione delle minori e la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 10, comma 5, nonchè dell'art. 12 della Convenzione sui diritti del minore, ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991 n. 176 (ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989); si richiama anche la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei bambini di Strasburgo del 25 gennaio 1996), e si formula il quesito se vi sia violazione delle norme richiamate nella sentenza impugnata, nella parte in cui ritiene legittima l'omessa audizione delle minori.

Il mezzo è infondato.

La Corte Territoriale ha condiviso sul punto il giudizio già espresso al riguardo dal tribunale che, cioè, essendo le due minori di età inferiore l'una a otto e l'altra a cinque anni, la loro audizione fosse inopportuna in relazione all'età e tale da esporle a nuovi traumi, e che all'esigenza in questione si fosse supplito attraverso le relazioni dei servizi sociali, che avevano dato voce alle istanze delle minori nella vicenda processuale.

Tanto premesso, al quesito deve darsi risposta negativa.

Infatti, la L. n. 184 del 1983, art. 10, comma 5, nel testo risultante dalla Novella n. 149 del 2001, non impone incondizionatamente l'audizione diretta del minore, come il quesito suppone, ma dispone che deve essere sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici, e anche il minore di età inferiore ma in considerazione della sua capacità di discernimento: e di tale precetto il giudice di merito ha fatto puntuale e motivata applicazione.

Nè la disciplina vigente, nei termini appena riportati, si sottrae agli obblighi internazionali assunti dall'Italia.

Ciò deve essere detto sia con riguardo alla ratifica della convenzione di New York sui diritti del fanciullo, del 20 novembre 1989 (L. 27 maggio 1991, n. 176), che all'art. 12 prescrive agli Stati parti di garantire al fanciullo "capace di discernimento" il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa (le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione "tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità"), e la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, "sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato"; e sia con riguardo alla ratifica della Convenzione europea di Strasburgo, sull'esercizio dei diritti dei bambini, del 25 gennaio 1996 (L. 20 marzo 2003, n. 77), che all'art. 6 prescrive, quando il diritto interno ritiene che "il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente", di assicurarsi che egli abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti, di consultare il minore personalmente, se necessario in privato, "direttamente o tramite altre persone od organi", con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, e di permettere al minore di esprimere la propria opinione. La disciplina del diritto interno appare dunque pienamente conforme alle articolate previsioni della disciplina convenzionale, della quale riprende tutti gli aspetti essenziali, mutuandone talvolta, come risulta dalle parti riportate tra virgolette, anche la terminologia.

6. La ricorrente denuncia poi (n. 9) violazione di legge e omessa decisione sull'eccezione di violazione dell'art. 115 c.p.c., per essere stato impedito alla parte esponente il diritto alla prova contraria di quanto asserito da servizi sociali e genitori affidatari. Si formula il quesito se sussista vizio di violazione di legge, omessa decisione nonchè omessa(insufficiente e contraddittoria motivazione dell'impugnata sentenza per non aver pronunciato sull'eccezione di violazione dell'art. 115 c.p.c..

Il quesito è inammissibile.

Al riguardo, dopo quanto si è già osservato in precedenza, è sufficiente richiamare il già citato precedente di Cass. 11 aprile 2008 n. 9470, per cui è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione.

7. Con l'ultimo mezzo d'impugnazione si denunciano violazione di legge, omessa decisione nonchè insufficiente o contraddittoria motivazione nella decisione di rigettare l'istanza di "adozione mite". Si formulano al riguardo tre quesiti, vertenti su violazione di legge, omessa decisione e vizio di motivazione in relazione a: a) rigetto dell'istanza di adozione mite formulata nell'interesse della madre delle minori; b) omessa motivazione nel rigetto dell'istanza di adozione mite; c) mancata ammissione della consulenza tecnica invocata nel doppio grado di merito in ordine alle capacità materne e alla personalità della ricorrente rispetto alle esigenze delle figlie minori.
I quesiti multipli, e come tali inammissibili, dispensano dall'entrare nel merito della questione genericamente sollevata in riferimento ad una "adozione mite", senza alcun accenno ai relativi presupposti di legge (costatata impossibilità dell'adozione: L. n. 184 del 1983, art. 44).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Nella natura della controversia si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2009